Cominciamo così, cos’è un techno-thriller? per la Treccani: Romanzo o film dalla trama avvincente e carica di tensione, spesso ambientato in scenari di fantascienza o fantasia, realizzato con il contributo di tecnologie innovative. Quindi, senza indugi: Fort Solis rientra tra i techno-thriller?
Naturalmente si tratta di una definizione per sommi capi, incompleta se vogliamo, ma che riassume sufficientemente la natura stilistica dell’opera di Fallen Leaf e Drakkar Games. Fort Solis è dunque un techno-thriller, ma desueto, di quelli che vogliono essere suggestivi, climatici, intriganti, ma poveri del resto, azione in primis.
Marte, anno 2080, Jack Leary è un ingegnere il cui ruolo può essere riassunto nella costante manutenzione di tutti quei sistemi che quotidianamente vengono sferzati dalle note e colossali tempeste di sabbia del pianeta rosso; un giorno, una richiesta di soccorso da parte di un complesso minerario – il Fort Solis per l’appunto – spingerà il nostro Jack a varcare la proverbiale soglia che lo getterà nel fulcro della storia.
A passo d’uomo!
Da una premessa simile potremmo intuire molte cose, finendo tuttavia per sbagliare rotta. Questo perché Fort Solis inganna il giocatore (certo, è un’iperbole) dando all’inizio l’impressione di ritrovarsi di fronte a un puro survival horror a metà fra Dead Space e The Callisto Protocol, quando invece è molto più simile a un Deliver Us the Moon. Nel gioco infatti cammineremo e basta, senza scontri a fuoco o all’arma bianca, e senza neppure quelle mostruosità che ne giustificherebbero l’utilizzo. Le uniche variabili saranno rappresentate da quick time event, a tratti gradevoli a tratti meno, molto meno, e dagli onnipresenti collezionabili, qui sotto forma di file che ci aiuteranno a ricostruire il discreto mosaico narrativo dell’opera. Nient’altro. Questo comporta, almeno dal mio punto di vista, una chiara e fin troppo evidente decurtazione della tensione, troppe volte smorzata dalla consapevolezza della staticità del gioco. Sai di poterti muovere tranquillo, senza troppe paure; d’altronde al nostro Jack non è stato concesso neppure un passo svelto, può solo camminare (in maniera anche piuttosto flemmatica).
Ne’ survival ne’ horror
Come se ciò non bastasse, il canovaccio narrativo sembra voler evocare non poche suggestioni, senza però riuscire appieno nell’intento: è presente quella chiara voglia di costruire un clima teso, che sospenda il fiato del giocatore, che lo porti a guardarsi spesso le spalle; l’impressione che qualcosa di estremo sia accaduto in quei dedali è palese, ed è chiaramente un merito, ciò nonostante lo svolgimento dell’intreccio – o forse il linguaggio con cui viene proposto – non riesce a restituire le suggestioni di cui sopra, finendo inevitabilmente per far abituare il giocatore all’inamovibilità degli eventi.
L’ispirazione di fondo è di chiaro stampo cinematografico; un linguaggio che non sempre si sposa con quello videoludico, come accade talvolta in Fort Solis. L’impressione è infatti quella del tipico e vituperato walking simulator, dove sono gli eventi a incontrare il giocatore piuttosto che il contrario. Il piacere della scoperta è minimo e quasi sempre legato al buon level design (almeno per me, che sono un’inguaribile fantascientista), oltre ai soliti collezionabili indispensabili per la storia. Questo è un fatto e francamente mi dispiace dirlo. Inoltre, la mancata localizzazione in italiano (deriva a quanto pare inarrestabile) può far perdere più di qualche dettaglio.
Un’ottima muscolatura
Se il gioco non spicca per ludica, e neppure troppo per originalità narrativa, un plauso al comparto tecnico va invece fatto. L’Unreal Engine 5.2 è notevole, oggettivamente bello. A tal proposito consiglio di optare per la modalità grafica, decisamente più consona a un’opera che sacrifica per scelta stilistica la fluidità di gioco di un’esperienza dinamica.
Indubbiamente non sarà con Fort Solis che l’engine mostrerà il pieno potenziale, ma è indubbio quanto abbia impattato sulla sua gestazione. In particolare il level design sembra averne tratto maggior beneficio. Sia i limitati spazi esterni, sia gli interni dell’infrastruttura, godono di un’eccellente caratterizzazione; forti di una lunga serie di dettagli che, a un occhio fantascientifico (ma neppure troppo fantascientifico) appaiono incredibilmente godibili. Non altrettanto godibile è il sonoro, buono solo a tratti e mai realmente incalzante; d’altronde, come ho già detto, non c’è motivo per essere incalzati dalla tensione, anche quando viene accompagnata da un componimento musicale più climatico.
Una doverosa nota di merito per il cast, di grande prestigio, come Troy Baker, Julia Brown e Roger Clark, che non si può dire che non diano qualche carato in più al gioco.
In definitiva Fort Solis è un’esperienza a mio avviso sufficiente, forte di un buon livello tecnico, ma debole in tutto il resto; alla perenne ricerca di un’identità che forse andrebbe maggiormente ricercata in altri media, piuttosto che nel videogioco.
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